Sono le 17:10, una fredda serata invernale e dal molo che sto percorrendo vedo un semicerchio con striature rosse e gialle che si sta immergendo in un mare blu prussia con leggere increspature, un gabbiano compie strane giravolte infastidito da un vento a sbalzi cos’ì come i miei capelli e la mia nuca. Tiro bene su il bavero del mio loden e soffio aria calda sulle mani. Il mio passo è lento, il cervello stanco manda impulsi intermittenti che le mie gambe malvolentieri accettano, la gola è secca e la cartina della Rothmans si trasforma veloce in brace e cenere. Le mani toccano la sporgenza della tasca dei miei pantaloni di velluto. Il Breegans e il suo legno che assorbe birra, alcool, disinfettanti, lucidi o i segni che qualche avventore lascia del suo passaggio mi accoglie con il sottofondo di una canzone di Johnny Cash, mentre gli odori delle piastre in cui il prosciutto e le verdure si risolano lentamente invadono le mie narici. Percorro questi rombi di cotto rosso per